Arriva l'estate. Aumenta la benzina

di redazione 20/05/2018 ECONOMIA E WELFARE
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E' di nuovo tempo di fare i conti con l’aumento del prezzo della benzina. Ma cosa c’è dietro questo nuovo rincaro?

"Vi sono le condizioni per una aspettativa di aumento sensibile dei prezzi, nella media del mix tra i prodotti benzina e gasolio, nei prossimi quattro giorni, con scostamenti compresi in 1 centesimo al litro in più". E' la previsione contenuta nel bollettino settimanale dei gestori di impianti di distribuzione di Figisc e Anisa aderenti a Confcommercio.

In realtà, erano diversi anni che la benzina in Italia non subiva un aumento così vertiginoso. Secondo quanto trasmesso dal Ministero dello Sviluppo Economico, il carburante è salito a 1.606 euro al litro, scavalcando così quel muro di 1.6 raggiunto nel luglio del 2015. E il diesel? Il massimo registrato è di 1.483 euro al litro, di poco oltre il record del giugno 2015.

 Non certo una bella notizia, questa: l’aumento è arrivato poco prima dell’estate, quando molti italiani si mettono in macchina per i primi weekend al mare, oppure in montagna. Coi nuovi prezzi, infatti, un pieno per un’auto a benzina di media cilindrata costa il 5% in più rispetto alla scorsa estate (circa 80 euro).

Ovviamente, la prima causa dell’aumento del prezzo della benzina è il costo del petrolio, aumentato di recente: dall’inizio dell’anno ad oggi, il prezzo del barile è salito di ben il 17%. Se lo scorso anno il greggio americano costava 50 dollari a barile e quello europeo 52, oggi costano rispettivamente 71 e 78 dollari. La ragione risiede nei tagli effettuati dall’Opec e nelle tensioni geopolitiche che il Medio Oriente sta vivendo.

Ecco i motivi principali per cui le quotazioni del barile stanno salendo alle stelle.

Le sanzioni contro l'Iran 
Il prezzo del petrolio, che nel 2016 era crollato addirittura sotto 30 dollari, stava già risalendo da mesi. Ma la fiammata più recente è legata in gran parte al ripristino delle sanzioni contro Teheran da parte degli Stati Uniti. Nel 2012-2015 (quando anche l'Unione Europea, diversamente da oggi, aveva adottato misure analoghe) il mercato era arrivato a perdere oltre un milione di barili al giorno di greggio iraniano. Oggi le previsioni sull'impatto restano incerte. Tuttavia moti armatori, per il timore di incorrere in sanzioni secondarie, si stanno già rifiutando di effettuare trasporti da e verso l'Iran. L'acuirsi delle tensioni geopolitiche in Medio Oriente contribuisce a sua volta a tenere alte le quotazioni del petrolio, anche a prescindere dall'effettivo calo dell'offerta

 

La crisi in Venezuela 
Un altro fattore di sostegno ai prezzi del petrolio è la crisi del Venezuela, che si sta aggravando sempre di più. Il Paese, che un tempo era un importante fornitore di greggio, è al collasso. E la sua industria petrolifera sta andando a rotoli: la produzione è crollata del 40% in due anni, a 1,4 milioni di barili al giorno ¬¬¬ - il minimo da oltre trent'anni – e minaccia di diminuire ulteriormente, addirittura scendendo sotto 1 mbg entro fine anno secondo alcuni analisti. I creditori hanno iniziato nei giorni scorsi a pignorare impianti della compagnia venezuelana Pdvsa, limitando la sua capacità di esportazione 

L'Opec (e l'Arabia Saudita) 
Un contributo determinante per rilanciare il prezzo del petrolio è arrivato dall'Opec, che a dispetto degli scettici è riuscito a costruire una solida alleanza con la Russia e altri Paesi. I tagli di produzione congiunti, in vigore da gennaio 2017, sono stati addirittura superiori alle attese, anche perché alcuni partecipanti ¬– il Venezuela, ma anche l'Angola o il Messico – hanno subito un calo involontario della produzione. Nonostante l'enorme crescita delle estrazioni di shale oil negli Stati Uniti, oggi l'eccesso di petrolio sul mercato è scomparso, lasciando il posto a una situazione di deficit: attualmente i consumi globali di greggio superano di circa 600mila barili al giorno l'offerta. E le scorte continuano a scendere: a marzo nei Paesi Ocse sono andate sotto la media degli ultimi cinque anni, proprio come si proponevano l'Opec e più di tutti l'Arabia Saudita, che punta a un prezzo del petrolio elevato (almeno 80 dollari, forse anche di più) in vista del collocamento in Borsa della sua compagnia di stato, la Saudi Aramco.

La domanda (per ora…) 
Grazie alla crescita robusta dell'economia globale e alla discesa del prezzo del barile negli ultimi anni, la domanda di petrolio sta aumentando a ritmi storicamente molto elevati. Le ultime previsioni dell'Agenzia internazionale dell'energia (Aie) indicano tuttora un incremento di 1,4 milioni di barili al giorno nel 2018, ma l'organismo dell'Ocse avverte che la crescita dei consumi ora potrebbe rallentare: 
«Il fatto è che il i prezzi del greggio sono aumentati di circa il 75% da giugno 2017 – osserva l'Aie – Sarebbe straordinario se un balzo tanto grande non intaccasse la crescita della domanda, soprattutto dopo che negli ultimi anni diversi Paesi emergenti hanno ridotto o eliminato i sussidi per i consumatori finali».

La speculazione 
Per lungo tempo le banche e i fondi di investimento sono rimasti scettici sull'efficacia dell'azione dell'Opec, anche perché la produzione di shale oil negli Stati Uniti cresce a ritmi impressionanti: oggi Washington estrae 10,7 milioni di barili di greggio al giorno, più dell'Arabia Saudita e quasi quanto la Russia. Ma di fronte all'evidenza si sono convinti: la domanda petrolifera oggi supera l'offerta e le scorte accumulate negli anni della crisi sono crollate. Le previsioni degli analisti stanno diventando sempre più aggressive (Bank of America-Merrill Lynch è stata la prima a prevedere un possibile balzo a 100 dollari nel 2019) e gli hedge funds si muovono di conseguenza. Nelle ultime settimane qualche posizione “lunga” (all'acquisto) è stata liquidata, ma di recente l'esposizione rialzista degli speculatori si era spinta al record storico.

Ma non è tutto. In Italia, l’aumento del prezzo della benzina si deve anche alle accise: solamente il 30% del costo che gli automobilisti italiani sostengono per far riferimento è determinato dal costo del petrolio. Il restante 70 dipende dall’IVA e dalle accise. Accise che sono da anni al centro delle contestazioni, dal momento che derivano da questioni passate come la guerra in Abissinia, le missioni in Libano e in Bosnia, la crisi del Canale di Suez, i terremoti, le alluvioni, i disastri naturali.

Infine, la rete di distribuzione: in Italia siamo ancora lontani dalla modernità e dall’efficienza, con pompe sparpagliate sul territorio nazionale e gestori ancora restii al self-service. Un insieme di fattori, dunque, che è alla base di un aumento del prezzo della benzina che – in Italia – si fa sentire molto di più che negli altri Paesi europei.


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